Ex Ilva, un migliaio di lavoratori a rischio in Piemonte. Viaggio nella crisi industriale della regione (terza puntata)

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Il ciclone ArcelorMittal (ex Ilva) potrebbe abbattersi anche in Piemonte dove, tra i dipendenti della multinazionale dell’acciaio e quelli dell’indotto, sono più di un migliaio i lavoratori a rischio.
Non molto lontano dal sito di Genova, che vanta circa 1500 occupati, l’impianto di Novi Ligure, in provincia di Alessandria, con i suoi 681 addetti e i 200-300 dell’indotto, è una delle realtà più importanti del Gruppo ex Ilva in Italia.
Il numero dei lavoratori piemontesi coinvolti dalla vicenda cresce ulteriormente con l’aggiunta dei circa 200 addetti della ex Ilva di Racconigi, nel cuneese.
Per la già martoriata manifattura piemontese, la vicenda ArcelorMittal rappresenta un ulteriore elemento di preoccupazione, una mina da disinnescare al più presto, prima che esploda, con gravi conseguenze  sul piano economico e sociale.
I lavoratori dei due stabilimenti si sono fatti sentire già nelle scorse settimane, scioperando per 24 ore consecutive. A Racconigi hanno incrociato le braccia l’8 novembre e a Novi Ligure il 12, alla presenza del segretario generale Fim, Marco Bentivogli.
Nello stesso giorno Fim Fiom Uilm territoriali hanno incontrato il Prefetto di Alessandria, Antonio Apruzzese, al quale hanno ribadito la volontà di “percorrere tutte le strade affinché nel territorio alessandrino non vada disperso un solo posto di lavoro”. Intanto, in attesa della convocazione di una seduta aperta sul caso, il Consiglio comunale di Novi Ligure ha approvato all’unanimità un ordine del giorno che impegna sindaco e giunta ad “operarsi presso il governo e a ogni livello al fine di arrivare ad una rapida e positiva soluzione del caso”.
“Siamo preoccupati perché la vertenza sta scivolando sempre di più sul piano giudiziario – commenta il segretario generale della Cisl di Alessandria-Asti, Marco Ciani – e non della trattativa. Speriamo che l’incontro tra il presidente della Repubblica Mattarella e i tre segretari di Cgil Cisl Uil sia servito a rimettere nei giusti binari la vicenda”.
Lo stop del sito di Taranto segnerebbe inevitabilmente la chiusura delle due fabbriche piemontesi che dipendono per l’80% della loro produzione proprio dall’impianto pugliese.
A Novi Ligure, infatti, arrivano da Taranto le bobine di acciaio grezzo che vengono lavorate e trasformate in lastre di alluminio o zinco, destinate in modo particolare alla produzione del settore automotive. L’impianto può arrivare a produrre fino a un milione e 500mila tonnellate di acciaio all’anno, ma attualmente i volumi si sono dimezzati, attestandosi a 700mila tonnellate.
“L’azienda – spiega Salvatore Pafundi, segretario generale della Fim Alessandria-Asti – deve tenere fede all’accordo di un anno fa nel quale si impegnava a tutelare l’ambiente, a garantire la sicurezza negli stabilimenti e a salvaguardare l’occupazione. Il governo deve ripristinare subito lo scudo penale, non solo per non fornire alibi alla multinazionale, ma perché non è giusto che ad ArcelorMittal vengano attribuite responsabilità e colpe di gestioni precedenti”.
Nello stabilimento alessandrino – colpito a fine ottobre dall’ondata di maltempo, con danni agli impianti e parziale blocco della produzione – non c’è stato, nell’ultimo anno, nessun ammodernamento. “A Taranto – aggiunge Pafundi – la situazione è davvero difficile, ma anche qui ci sono criticità. I macchinari sono datati e poco o nulla è stato fatto in termini di sicurezza sul lavoro”.
Nello stabilimento ex Ilva di Racconigi, ultimo paese della provincia di Cuneo, a una cinquantina di chilometri da Torino, si producono invece cilindri e tubi metallici per l’edilizia, l’impiantistica e la cantieristica. Come per Novi Ligure, la quasi totalità della materia prima arriva da Taranto e viene trasformata in semilavorato da destinare alla filiera dell’acciaio. E come per lo stabilimento alessandrino, anche il destino della fabbrica cuneese sembra in qualche modo segnato. Se chiude Taranto, chiudono anche qui.
Rocco Zagaria

 

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